1 luglio 2016. - In tale data la Congregazione delle Cause dei Santi ha emesso il Decreto di Validità della Causa di beatificazione del Servo di Dio Raffaele Gentile. Ora si passa alla costruzione della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis

mercoledì 10 luglio 2013

10. RAFFAELE GENTILE: DALLA PARTE DEGLI ULTIMI




Mi è stato chiesto di contribuire alla riflessione storica su Raffaele Gentile partendo dalla sua “humanitas”. C’erano tanti modi di approcciare a tale compito. Ho scelto di farlo da diretto testimone dell’aspetto che più mi riguardava della “humanitas” di Raffaele Gentile: il suo impegno dalla parte degli ultimi.
E l’ho fatto evitando l’analisi esegetica di testi e degli scritti, o il racconto della sua esperienza di medico cattolico impegnato nel sociale, cioè da narratore storico asettico, se pur partecipe di una ispirazione etica condivisa. Ho preferito farlo dall’approccio più diretto, quello della testimonianza personale e vissuta, e dell’approccio più difficile del testimone, cioè di quello che ammette in qualche modo la propria sconfitta.
E’ stato questo l’approccio che mi ha portato 5 anni fa a dare un contributo scritto al libro che la famiglia ha voluto dedicare a Raffaele Gentile, non potendo esimermi dal farlo per l’affetto che mi lega alla famiglia e per il debito etico e culturale che devo alla memoria di Raffaele Gentile.
Partendo dall’incontro-scontro tra la mia esperienza militante e quella di donazione piena agli ultimi di Raffaele Gentile, negli anni a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, in una marcata differenza generazionale (Gentile era solo di un anno più giovane di mio padre) e di cultura tra me e Lui, che mi portò a scoprire l’“humanitas” del medico cattolico Gentile, il “medico dei poveri”, come è stato chiamato. E’ lo stesso approccio che ho scelto per la mia testimonianza di oggi, per dare memoria di un impegno e di una passione autenticamente cristiana e umanitaria di Raffaele Gentile, di quelle capaci di cogliere le incredulità, e le riserve di chi -come me- tendeva a leggere l’impegno sociale autentico (senza se e senza ma) con una chiave di interpretazione ideologica.
Riportando questa storia negli anni più vivi e tesi della storia del cattolicesimo calabrese, negli anni della fine dell’unità politica dei cattolici e della loro diaspora nella pluralità laicale delle esperienze sociali. Esperienza storica in cui Raffaele Gentile ha marcato una presenza ed una identità viva e nitida, antagonista e di continuità insieme, di quelle che lasciano una impronta indelebile.
Ero nell’anno 1970, quasi al termine degli studi liceali, Delegato Diocesano del Movimento Missionario Giovanile, animato dall’indimenticabile Don Fausto Castrucci.
Una esperienza ecclesiale costruita sul difficile crinale tra tensione sacramentale ed eucaristica e impegno sociale, tra sentimento missionario e motivazione di giustizia, tra testimonianza di fede ed afflato politico. Ma erano gli anni della contestazione ecclesiale, e dei cattolici del dissenso.
Un grande vento di novità culturali e di rinnovamento ecclesiale, nato sullo spinta dell’entusiasmo del Concilio Vaticano II, che soffiava forte sui processi di aggregazione del mondo cattolico, e sui modelli tradizionali di testimonianza della fede. Catanzaro non rimaneva estranea a questo vento, pur emarginata dai flussi più importanti del dibattito europeo e nazionale.
Il confronto sul rinnovamento si concentrava sulla Rivista “Il Sentiero” e sui cenacoli di iniziativa culturale ed ecclesiale racchiusi intorno alla Parrocchia di S. Pio X, dove la indimenticabile figura di Don Giorgio Bonapace funzionava da catalizzatore per le intelligenze cattoliche predisposte al cambiamento.
Trovava i suoi luoghi di aggregazione nello storico Salone delle ACLI di Piazza S. Giovanni e nel Salone della Cattedrale (sede del Movimento Missionario), o nelle riunioni al Liceo Galluppi del Movimento Studenti. Fu in questo clima di grande tensione culturale ed ecclesiale che il Movimento Missionario Giovanile maturava le sue scelte di impegno missionario che si tramutavano in impegno per la denuncia delle condizioni del sottosviluppo, a partire dalla realtà locale, valutate in modo del tutto dissimile da quello dei Paesi del Terzo Mondo, testimoniando un impegno teso a superamento delle condizioni dell’emarginazione, una scelta cioè di strategia politica e di progetto sociale. Che peraltro sosteneva in quegli anni gran parte del movimento missionario internazionale e del volontariato di cooperazione allo sviluppo, da Mani Tese alla Rivista “Nigrizia”.
E fu in quel clima che conobbi Raffaele Gentile, o meglio il “Dottore Gentile”, come tutti lo chiamavano, animatore dell’Azione Cattolica Diocesana e delle esperienze più impegnative di carità cristiana, dalla vecchia In Charitate Christi (poi Fondazione Betania) all’Istituto “Ninì Barbieri”.
Frequentavamo, io ed i giovani del Movimento Missionario, Villa Betania (come popolarmente era denominata l’“In Charitate Christi”) come testimonianza missionaria sul territorio, con l’intento di manifestare una attenzione agli ultimi, ma più in concreto di denunciare politicamente le storture del sistema.
Gentile era lì, Direttore Sanitario dell’Istituto, all’epoca affidato alla guida del compianto Don Lolò Pellicanò, sempre tra i suoi poveri ed i suoi ammalati, a condividere ansie e disillusioni. Mai a ipotizzare cambiamenti radicali di sistema.
All’inizio fu un incontro-scontro, di incomprensione tra la nostra tensione contestativa giovanile ed il suo rigore teologico ed ecclesiale, attento ai valori, mai però chiuso al confronto. La cui tensione politica si esauriva al contrario all’interno dei recinti tradizionali e classici dell’interclassismo democristiano che aveva amalgamato la partecipazione politica dei cattolici fino a quegli anni.
Incontro che diventò ben presto terreno di discussione e di dialogo sul significato dell’impegno per gli ultimi, che Lui voleva come testimonianza di vicinanza ai disabili ed agli anziani, testimonianza di assoluta e totale donazione di sé, senza progetti alternativi. Perché per Gentile Gesù Cristo voleva la piena condivisione della sofferenza e la gratuità dell’impegno solidale.
Non ci capimmo forse mai fino in fondo, ma nacque una stima ed un rispetto reciproco, tipico di chi considera l’altro in perfetta buona fede, anche se forse in errore.
Ma chi sbagliava tra di noi? La risposta rimarrà forse, alla luce della cronaca di quegli anni tumultuosi, senza risposta, perché imperscrutabili sono le vie del Disegno della Storia del Signore, cui ognuno di noi contribuisce da umile operaio della vigna, abbandonando in Lui il senso finale delle nostre opere. Senza per questo rinunciare mai alla passione delle nostre esperienze.
Raffaele Gentile rimaneva sempre “dalla parte di Marta”, come ebbe a dire un noto scrittore cattolico: dalla parte dell’impegno e dell’operato che testimonia carità e solidarietà in modo totale, in senso davvero francescano, senza condizioni o progetti di sistema, attraverso le “opere” e la condivisione del disagio. Egli alimentava un impegno laicale e professionale, di medico, con l’ansia della comunità di fede: credeva nelle opere come realizzazione della testimonianza cristiana. Testimonianza di grande radicalità laica che è alimentata però da grandi valori cristiani. In cui l’ultimo, l’emarginato è il centro dell’impegno del cristiano. Sempre dalla parte degli ultimi tra gli ultimi, come qualcuno ha prima ricordato.
Non rividi per tanti anni Raffaele Gentile. Fui risucchiato dagli studi universitari, dall’impegno sociale, politico e professionale, che mi portò ad altri lidi, a testimoniare altrove l’ansia della liberazione degli oppressi che si faceva in me progetto politico.
Ritornai quasi 15 anni dopo, da Direttore dell’ENAIP, a“Fondazione Betania”, trasformata dall’impegno riformatore di Don Biagio Amato, con l’equilibrio della maturità, per condividere un tassello dell’attività formativa del progetto di rinnovamento di Don Biagio.
E ci ritrovai ancora il Dottore Gentile, che continuava, ad onta degli anni e delle trasformazioni strutturali di Villa Betania, il suo impegno di medico e di animatore, come se il tempo non fosse trascorso, con lo stesso sorriso.
Egli era ancora lì, un po’ “demodè” nel vestire, certamente acciaccato nel fisico, ma fedele al personaggio che avevo conosciuto negli anni Settanta, vicino come allora ai disabili ed alle anziane di Betania, forse un po’ stordito dalla novità del Progetto di rinnovamento dell’Istituto, ma mai domo nella sua volontà di donazione personale, gratuita e convinta, agli ultimi. Mi accorsi allora che io ero cambiato, lui no! Io ero diventato manager della solidarietà, operatore politico-sociale, forse incapace ormai di un autentico trasporto con gli ultimi: lui no, era sempre lì a testimoniare il Suo Vangelo dei poveri, senza tensioni o progetti, ma con l’autenticità profonda della donazione di sé.
Forse aveva avuto ragione lui? Certamente si era riscattato dalla sua ritrosia ad ogni sperimentazione politico-sociale e culturale, con una testimonianza profonda, mai apparente ed esibita, ma sempre costante ed esplicita, di condivisione dei poveri e degli ultimi. Sicuramente come Gesù Cristo avrebbe voluto.
Mi venne in mente a quel punto Don Lorenzo Milani, l’educatore “icona” della nostra generazione, e la sua bellissima lettera a Pipetta, segretario della Sezione comunista di Barbiana. “…. Attento Pipetta, oggi siamo assieme a tirare pietre alla casa del padrone. Ma domani quando avremo vinto, e tu sarai nella casa del Padrone, io ti tradirò e resterò fuori a continuare a tirare le pietre alla tua casa. Perché questo è il progetto di Dio per i poveri….”. Noi forse eravamo entrati, come Pipetta, nella casa del padrone, anche se con l’intento di aprirla ai poveri. Ma Raffaele Gentile era rimasto fuori, nella sua coerenza di testimonianza di valori e di gratuità, forse non a tirar pietre, perché egli non lo avrebbe mai fatto per la mitezza del suo personaggio, ma certamente a ricordare il Progetto di Dio per gli ultimi, i suoi prediletti. Ecco perché testimonio che in fondo forse aveva ragione Lui, la sua “humanitas”, la sua scelta di condividere fino in fondo l’esperienza degli ultimi, quelli più vicini all’affetto del Signore. E testimonio, nella richiamata differenza culturale e generazionale, che Raffaele Gentile ha lasciato un messaggio ed un testamento di grande significato: quello del valore assoluto (senza se e senza ma, come oggi si direbbe) della donazione di sé agli altri, agli ultimi, ai più diseredati. Come modo assoluto di testimoniare la fede nel Signore Risorto. Con la tensione etica tipica dei “giusti”, in senso biblico, che sono più vicini al cuore del Signore. Ed è così che testimoniando quello che Matteo ha richiamato come il più grande Comandamento della Legge (“Amerai il prossimo tuo come te stesso”), Raffaele Gentile ha visto il Signore in ogni affamato, assetato, forestiero, nudo, malato o in carcere, sapendo che tutto quello che faceva al fratello più piccolo, lo faceva a Dio.
Facendo carne viva della profezia della I Lettera ai Corinzi: “se fossi sapiente, e avessi il dono della profezia e della scienza, ma non avessi la carità, non sarei nulla.”
Confermando così che tra fede, speranza e carità, la carità è il dono più grande. Era questa la dimensione della “humanitas” di Raffaele Gentile, che era altro nome della carità, elemento costitutivo della sua essenza. E di questa dimensione, testimoniata con coerenza lontana dalle mode, negli anni, dobbiamo ancor oggi essere grati a Raffaele Gentile. Perché il messaggio di autenticità e di donazione piena e gratuita di sé agli altri, rimane un patrimonio che impegna ancor oggi tutti noi.

Dott. Antonio De Marco

Dirigente della Regione Calabria

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