Il contributo che
mi avvio a svolgere non espone la biografia di Raffaele Gentile. Sono state di
già composte le note illustrative della sua vita, che è stata del tutto lineare:
famiglia, lavoro, Chiesa, società, opere, una semplicità di vita aperta alla
società che documenta il generoso impegno nel contesto sociale e religioso,
accostato al mondo dei poveri. Dentro la Chiesa, vivendo in mezzo alla gente.
Testimonianze e documenti che lascia rispondono ad una condotta che offre
palpiti di vita aventi valore di vivezza. Il suo richiamo era alle cose vere
ancorate ai valori più sacri: fede, famiglia, società, Dio sui quali sentiva il
bisogno di dare senso alla vita.
Aveva sofferto
l’esperienza del periodo bellico e ben presto tende verso un impegno attivo per
concorrere a costruire una società più giusta, nella pace finalmente
conseguita.
È nell’Azione
Cattolica. Sente di propendere verso un impegno politico elettivo e nel 1946 è
eletto consigliere comunale restando per dieci anni nel consesso.
Si avvia così,
alimentata dalla fede radicata nell’anima, la sua vita aperta totalmente alla
società: il ripercorrerla non presenta dubbiosità od ombre; seguendola,
consente di vederlo da vicino dentro il tessuto della storia stessa della città
e della diocesi, dove vive sin dall’infanzia.
Non è difficile
cogliere il suo essere cristiano animato di profonda spiritualità che si
appartiene a cultura religiosa di forza direi mistica, tanto vivo è il senso di
appartenenza che ne ha sorretto l’intera sua esistenza. Ha modellato un
percorso di vita segnato di accentuato spirito comunitario espresso
mirabilmente, tanto che il suo è “un vissuto religioso”, con azione aperta
all’incontro umanamente sociale per le opere che ha assecondato, promosso e
contribuito a far nascere. E a sostenerle con attiva febbrile presenza: nella
lezione di vita è sempre presente il Vangelo quale sprone all’operare.
Gentile sente
pressante il bisogno di darsi agli altri, ai poveri, ai sofferenti e non
predica né guarda ma scende nell’agone dentro la società impegnando il suo
tempo a lenire i bisogni della povera gente dando testimonianza di fede attiva
che, nell’interiorità e nell’azione, gli fa compiere un laborioso impegno teso
a costruire a pro dei poveri.
La sua vita non è
possibile riprenderla nell’interezza. Ma è certo che è stata spesa per il
prossimo. L’anima arde della fiamma del dare in generosità: si consacra
presenza viva di animazione e di servizio nell’avvertito dovere di
corrispondere alle attese dei poveri, nello sforzo di colmare i loro bisogni. Può dirsi che il suo è stato un andare verso
opere di fraternità.
Amò la Chiesa –
popolo di Dio e ne calcò le orme con amore filiale. Ha risposto da cristiano,
credendo nella forza del Vangelo, alla ricerca del dialogo aperto agli altri
andando incontro alle esortazioni del Concilio che nel XX secolo è l’istanza
più autorevole della Chiesa Cattolica: il Concilio che interroga e si interroga
sull’uomo concreto e vero del nostro tempo. Da qui la volontà della grande
apertura della Chiesa verso la Società e il dialogo con il mondo, sì che la Gaudium et Spes espone la dottrina
cattolica sui grandi temi: la fame nel mondo, l’economia, la guerra, l’ateismo,
il dialogo. È la Chiesa che avvia e conduce il contatto fecondo con il mondo
contemporaneo. Giovanni XXIII volle il Concilio pastorale sentendo da pastore
il dovere di porgere il Vangelo alla società del nostro tempo in rapida
trasformazione, nel richiamo della Parola e della Tradizione. All’apertura
disse che il Concilio doveva “custodire ed insegnare in modo più efficace il
sacro deposito della dottrina cristiana perché fosse trasmesso puro ed integro
senza attenuazioni o travisamenti per rispondere sempre alle esigenze del
tempo”.
Gentile si ritrova
lungo questa via che più conosce e percorre da testimone credibile, come
lievito e fermento nel suo mondo: così la Chiesa chiede che sia il cristiano. Accetta
e corrobora nella genuinità di fede la dottrina sociale che nello scorrere
della vita del popolo credente rappresenta il rapporto che la Chiesa mantiene
con il tempo e la storia; rapporto che nasce dai fondamenti evangelici posti a
base del Tempio di Dio per la città dell’uomo. Con l’azione e la preghiera è
testimone di speranza, seminatore di amicizia: il suo diviene impegno forte del
credente laico nel confronto col mondo, in ubbidienza alla Chiesa istituzione.
La sua vita insegna
che al cristiano è richiesto di operare per il bene assumendo la misericordia
come abito evangelico.
Rimane uomo
trasparente nella sua umiltà, portatore di anelito nella purezza del cuore:
cristiano senza rigorismi né saccenteria, ci lascia l’esperienza di una vita
dalla accentuata vocazione all’incontro con il povero che lo affligge per le
sofferenze che coglie e tanto in Lui diventa strumento di stimolo per una più
consapevole fedeltà a darsi alle opere di bene.
È ammirevole che
quest’uomo resta nel ricordo memore di chi lo ha conosciuto nella dimensione
pubblica, privata e familiare: permane presenza straordinaria con un fascino di
intimismo che non si cancella né si affievolisce.
L’amabilità del
tratto, la serenità costante, la delicata presenza non ingombrante, quel non
risentirsi mai per qualunque piccolo attrito inevitabile in ogni convivenza
umana, tutto diventa abito di vita virtuosa e ce lo fa considerare cristiano
esemplare.
Gentile è testimone
di speranza: un laico che ci lascia la pienezza di una vita cristiana.
Negli scritti
rivela la serietà con cui si documenta e l’impegno è volto all’azione.
La sua
testimonianza s’indirizza su verità essenzialmente utili; l’agire lo porta ad
immergersi dentro il mondo dei poveri. Da medico si dona presto a un apostolato
intenso tra il popolo più bisognoso, a fianco di un sacerdote-apostolo, don
Giovanni Apa.
Con tanta umanità
cura e conforta in un rapporto di intimità con la società cittadina, rapporto
che costantemente intreccia.
In campo morale si
forma sempre più alla dottrina della Chiesa, ne sposa la socialità sovvenendo
alle necessità di vita della gente bisognosa di assistenza: la identità del
buon cristiano va pure attinta in questo suo senso di penetrazione nell’anima
popolare alla quale si incatena e la serve, perché la ama. È ricco di
quell’amore divino ricevuto e rimane accostato
al mondo dei
bisognosi. Tale è l’impronta della sua morale. Così nasce il messaggio di
spiritualità sorretto dalla grande ansia di fare: questo respiro hanno taluni
suoi scritti in cui rivela la vita di fede aperta alla generosità titolando una
pagina: “Massimo di tutti i comandamenti è l’amore”. Nello scritto, confluenti
ed armonizzandosi, emergono due grandi vocazioni: la ricerca del bene ed il
sostegno dell’uomo, ambedue tesi alla Verità. Amare Dio vuol dire conformarsi
alla Sua volontà secondo il detto che Egli, credente, riprende “sia fatta la
volontà di Dio”.
Vive insieme con la
gente e per essa: sente di appartenere alla Comunità. È quello che Benedetto
XVI ci dice con chiarezza “la nostra fede non possiede mai la sola dimensione
individuale, ma è sempre fede comunitaria”.
Non esiste la fede
per tenerla dentro, la si fa operare perché l’identità cristiana non si
custodisce dentro un recinto, va ben oltre lo stesso recinto della Chiesa
“verso l’Infinito e oltre il Tempo”; sant’Agostino soleva ripetere “sono
vescovo per voi ma, anzitutto, sono cristiano con voi”.
Il dottore Gentile
con la sua testimonianza di servizio ai poveri dice “sono medico per voi, vengo
e vi soccorro”.
Allora chi è e che
cosa deve fare il laico cristiano nella società? Ce lo dice il Concilio:
“Cristiani sono tutti i fedeli, escludendo i membri dell’ordine sacro, resi
partecipi col battesimo della funzione sacerdotale profetica e reale di Cristo
e compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo
cristiano”. La vocazione è di “cercare il regno trattando le cose temporali e
ordinandole secondo Dio”.
Scrive Gentile con
riferimento alla “In Charitate Christi”
“occorre dare una soluzione umana … soprattutto nell’attuare quel carattere di
equità che è legge morale ... assicurando la unitarietà del servizio
assistenziale senza preferenze, ma con giustizia”.
Resta la fede a
fondamento della sua Idea e, prendendo atto che la Fondazione è “un nuovo mondo
in cammino ricco di risultati conseguiti e del suo sviluppo sempre crescente,
dopo essere partito dal nulla in un momento storico particolarmente tristissimo
e di grande miseria, materiale e morale”. Si dichiara “convinto dell’aiuto e
della benedizione della Provvidenza, fiducioso di più nell’ulteriore consenso
dell’Alto, senza alcun finanziamento avanza l’ardita idea di costruire un vero
e proprio villaggio”. Il progetto si realizzerà con “Villa Betania”, conseguendo
l’auspicato organico sviluppo dell’Opera.
È la speranza che
si invera e diventa realtà! Il laico si protende verso una duplice missione,
nella Chiesa e nel mondo, nella responsabilità umana di rendere testimonianza a
Cristo con le opere. Gentile manifesta concretamente testimonianza mediante le
opere. Al di sopra di ogni valore di vita vi è Dio, insieme con il Prossimo: è
il prevalere dell’essere sull’avere quel che caratterizza il laico-cristiano il
quale vive dentro il mondo partecipe del cammino comune che le creature
compiono.
Nella Redemptor Hominis Giovanni Paolo II pone
un’affermazione che eleva: “l’uomo è la via della Chiesa”, assegnando
attenzione particolare alla persona che è presenza cristiana nel mondo attuale
col suo essere “popolare” nella concretezza, con sensibilità ed amore. I
cristiani siamo dialogo nel mondo perché siamo “in mezzo” al mondo: Gesù è
vissuto in mezzo agli altri predicando a tutti e San Paolo, il primo
missionario, andando da tutti è ricordato come “Apostolo delle genti”.
Gentile forma la
sua personalità in un tempo nel quale la vita dell’Italia è funestata dalla
guerra. All’esplodere del conflitto si ritrova alle porte dell’Università:
inizia a Bologna, poi –infuriante la bellicosità – prosegue gli studi a Bari,
quindi si trasferisce a Palermo dove consegue, col massimo dei voti, la laurea
in medicina e chirurgia.
Vi è carenza di
medici. Rientrando a Catanzaro trova che il primario chirurgo ospedaliero, non
essendoci altri medici, gli offre una collocazione di assistente. Vi rimane per
qualche anno. Già dal ’40 è nell’Azione Cattolica; nel ’42 aderisce, a
Catanzaro, alla F.U.C.I..
L’essere fucino e
giovane di Azione Cattolica naturalmente vuol dire anzitutto rigetto
dell’autoritarismo e accettazione dei valori democratici. Si apre all’impegno
nella società.
In città, nel ’43,
è cofondatore di L’Idea Cristiana,
periodico diretto da Antonio Lombardi, giornale che per alcuni anni è la voce
viva del mondo cattolico; poi diventerà organo provinciale di stampa della
Democrazia Cristiana. Lui ne è redattore capo, quindi vice direttore. Il
periodico viene alla luce il 25 dicembre 1943. Il nucleo portante del giornale
è costituito, insieme col direttore, da due sacerdoti don Pietro Fragola e don
Domenico Vero, rettore del seminario teologico calabro il primo, l’altro
promotore ed anima santa di una fondazione cattolica che porta il suo nome. Con
loro due giovani, già vicini a Lombardi, Renato Leonetti e Raffaele Gentile. Il
primo numero porta il fondo di Lombardi, che scrive: “niente può togliere
l’incanto del Natale. Le eterne nostre speranze, che vedemmo sommerse e quasi
spente, si ravvivano nello splendore del sublime evento. Apriamo i nostri cuori
all’Amore. Fidiamo ancora in quel Dio che sa vincere ogni avversa potenza e sa
trarre il bene dal male. Ma la fede e la speranza non possono essere in
quest’ora scompagnate dall’azione”.
Gentile compone un
pezzo che s’intitola “Sapienza e Religione”, dal tono cristianamente
etico-filosofico. Riprende quel che Lombardi aveva fatto penetrare nella
coscienza dei suoi giovani. Scrive: “La sapienza ci conduce a Dio, la
conoscenza di Dio ci porta alla Religione. Sapienza e Religione costituiscono
un’unica potenza, una, inscindibile, se pensiamo che in Dio, che le genera,
trovano l’anello di congiunzione. Partono da Dio per ritornare a Dio. L’una
risiede nell’intimo delle nostre facoltà spirituali, l’altra nei nostri atti.
Ugualmente, se per morale intendiamo la scienza del come dover vivere cioè come
l’uomo deve comportarsi nelle proprie azioni, non possiamo stimare veramente
morali quelle dottrine o quei sistemi filosofici e sociali che non hanno come
fondamento Dio”.
Coevamente,
asseconda Vito Giuseppe Galati quando, a distanza di vent’anni, riprende il suo
giornale di battaglie politiche, soppresso nel 1924, “Il Popolo d’oggi”.
Gentile, che si era
formato culturalmente alla lezione di Antonio Lombardi, filosofo cristiano e
maestro sommo di tanti giovani catanzaresi, con entusiasmo collabora alla
iniziativa del Galati ed arricchisce la sua formazione. Assume la redazione del
giornale di Galati. Questi è scrittore, filosofo, storico, politico ma
anzitutto cattolico: il suo volume “Religione e Politica”, edito da Gobbetti
nel 1925 – recensito da De Gasperi su l’Adige di Trento - è il testo che gli
esuli cattolici, all’avvento del fascismo, portano con sé uscendo dai confini
nazionali. Era Galati animato di quei sentimenti di purezza morale e di fede di
cui Gentile si nutriva. Galati, difensore della fede, scriveva di “Pio XII e la
Chiesa della povera gente”.
Gentile si ritrova
in sentita simbiosi con tali maestri e la sua formazione si forgia restando a
loro ancorato. Quella di Gentile è una storia umana che abbraccia almeno tre generazioni.
Un lungo tratto di
strada ed i particolari della azione vitale impressa sono profondamente fissati
nella memoria collettiva di questa Chiesa facendo restare attuale la sua
immagine nei valori espressi che hanno forza di eterno: credente trasparente,
umile portatore di incessante anelito nella purezza di cuore. La pratica dei
doveri religiosi e le opere di carità nascono dal bisogno di dare valore alla
vita operando per il bene quale avvicinamento a Dio-Verità, rispondendo
all’insegnamento di don Giuseppe De Luca: “Dio, vive e ci parla nelle più
piccole realtà e verità”.
Ho letto di un
cardinale francese dei tempi andati: nelle sue memorie ricorda che la nobiltà
di vita si trasmette per contatti per cui del valore di un uomo e del suo operare
vanno anzitutto considerate le sue amicizie ed i suoi rapporti con i maestri:
la vita di Gentile è stata spesa da buon cristiano pure per gli incontri avuti
con persone che in Lui ne modellarono sentimenti umani, valori culturali, senso
del bene; maestri ai quali si accostò per affinità elettive sono principalmente
Antonio Lombardi, mons. Giovanni Apa, Vito G. Galati.
Di Lombardi fu
discepolo attento insieme con tanti altri giovani che lo frequentavano attratti
dalle sue riflessioni sulla società, sulla cultura, sulla religione. Parlava
loro della vita, del rapporto con la trascendenza, del senso di carità alla
luce di Cristo e si esprimeva attingendo alla quotidiana navigazione della vita
e del pensare relazionandosi al Vangelo, riflettendo sul mistero-uomo, forte
della fede in Dio-Misericordia. Lombardi innesta con la fede la presenza
splendente di Gesù nella società e la sua opera è un aprirsi alla speranza per
quel piccolo mondo giovanile che lo segue: perché “la Verità porta alla
fratellanza tra gli uomini”, soleva ripetere. È stato Gentile con la sua
passione di discepolo, a rendere possibile che questa Chiesa particolare si
interessasse al pensiero forte di Antonio Lombardi che, insieme alla
testimonianza di vita. di pensiero speculativo e di fede nell’insegnamento
elargito, ha offerto se stesso, credente illuminato, animato di Grazia divina.
È Gentile che ha
spinto a dare voce, accolta dal nostro Pastore del tempo, togliendolo
dall’isolamento del ricordo, nell’ambiente sordo della città, per reimmetterlo
nel circuito di vitalità con le essenzialità della sua cultura e dell’ardente
fede che ne aveva sostanziato la vita così presentandolo quale segno
inconfondibile della più autentica civiltà dell’uomo, la civiltà dell’Amore.
Nel contempo Gentile opera senza sosta per sostenere Mons. Giovanni Apa e gli
rimane sempre più vicino nei suoi viaggi quotidiani che compie tra gli anziani
malati assistendoli con amore, tutti provenienti dai sobborghi della città, quando
nasce la istituzione connotata da comunione di fede che accoglie e da soccorso.
Mons. Apa è
promotore, coordinatore e guida dell’Istituto In Charitate Christi; Gentile gli si accosta, subito e per oltre 30
anni, nel condurre il cammino e la crescita dell’Opera Pia. Nel trentesimo
della fondazione ne diventa anche lo “storico”. Scrive: “nel susseguirsi e
nella molteplicità delle realizzazioni assistenziali e sociali, nel
rallegrarsene col Signore, non può non vedersi e toccare con mano l’intervento meraviglioso
della Provvidenza divina. La dimensione oggi raggiunta, inizialmente
imprevista, sarebbe stata impossibile alle sole forze umane”.
Aveva ancor prima
annotato che “nello spirito degli impegni assunti occorre dare una soluzione
umana” poiché “l’Opera, in coscienza non può guardare alla sue assistite che
richiedono una sistemazione diversa, pur non mancando in alcunché del
necessario” ma “hanno bisogno di un certo sfogo, indispensabile ed agognato da
chi è costretto a passare tutta la vita prigioniera
di mali ineliminabili”. Gli scritti di Gentile raccontano con stile nudo
testimoniale il percorso, il vissuto e le aspirazioni di avanzamento dell’Opera
Pia e fanno commuovere per quell’ansia di dare di più ai bisognosi: sono
puntuali, veritieri, onesti e si avverte il germinare della fede in crescendo
per dare maggiore sollievo e conforto, impetrando e ringraziando la
Provvidenza.
Poi, esprime
orgoglio, quando “nel tempo, le strutture sanitarie previste, già funzionanti a
Villa Betania, diventano in tutta Italia obbligatorie, per legge dello Stato,
per le istituzioni che attendono a tale settore assistenziale.
Aggiunge: “Allorché
si ottiene gratuitamente un ambulatorio di medicina generale, esso viene aperto
ai poveri di tutto il rione, il più in degrado della città. Questo primo passo
segna l’avvio dell’azione sociale che l’Opera non mancherà di intraprendere per
qualificarsi ed affinarsi sempre meglio nei suoi compiti vocazionali”.
Gentile, che
dell’Opera è il direttore sanitario, si sente che ne è anche il custode per lo
spirito di religiosità che traspare in quanto compie. La sua è adesione piena
“alla dimensione umana data da Cristo nell’identificarsi col malato, col
debole, col sofferente, col bisognoso, col diseredato e marginato in genere”… Dell’opera ne esalta la religiosità “sono religiosi
i promotori, si
costituiscono in sodalizio religioso (con pronuncia dei
voti perpetui
comuni a tutte le fondazioni religiose femminili) le laiche che aderiscono a
questo volontario servizio”.
Poi, “il sodalizio
verrà in seguito riconosciuto dalla Chiesa diocesana, dopo un periodo di attesa
e di prova rigido come è costume della Chiesa.
Il documento
ufficiale di riconoscimento reca la data dell’11 febbraio 1958, nel primo
centenario della prima apparizione di Lourdes, quasi a ricordare con quella
fatidica ricorrenza l’accostamento del malato allo spirito ed al senso che ha
quella terra benedetta dei Pirenei”.
Tutto trasuda nelle
sue parole di religiosa spiritualità, che è fede vera.
Raffaele Gentile è
in ubbidienza alla Chiesa-istituzione seguendo, fedele, i Pastori che in questa
Chiesa si sono succeduti. In un ricordo di Mons. Armando Fares, il vescovo
accanto al quale è stato più a lungo per tanti lustri, esalta ruolo ed immagine
del suo Vescovo: il Pastore dallo spirito giovanile, dall’entusiasmo
indomabile, carico di serietà e castigatezza, riserbo e misura, spirito
francescano e povertà, vicino agli ammalati e bisognosi. Esalta e delinea la
figura del Capo della Chiesa locale, paterno e buono.
La vita di Raffaele
Gentile insegna che al cristiano è richiesto di assumere la misericordia come
abito evangelico: la sua fede si era plasmata dentro l’Azione Cattolica al
tempo di Carlo Carretto caricandosi di vivezza attiva portatrice di
testimonianza “paolina”, missionaria; e quello spirito in Lui è penetrato
profondamente.
Vi è concordanza
positiva in chi l’ha conosciuto. Egli ha agito in pienezza di fede e non si fa
fatica a ritrovare sintonia tra la sua voce e quella della Chiesa. La fede è
posta al centro dell’operare ed in Lui invita al bene che è eco della sua vita
interiore.
Con incontri come
l’odierno ci si propone di offrire approfondimenti e riflessioni per riscoprire
e dare luce alle virtù umane e spirituali di un nostro fratello in Cristo, da
noi conosciuto e avuto vicino per anni. L’identità cristiana era radicata nella
sua coscienza di credente laico ed il suo volto si apriva all’incontro umano.
È stato un “giusto”
che ha vissuto la fede nella quotidianità ponendosi silenziosamente a servire l’uomo
in solidale convivenza nella società.
Avv. Rosario Chiriano
Presidente
Sezione Unione Giuristi Cattolici Italiani-Catanzaro
Nessun commento:
Posta un commento