1. Lo studioso cristiano
Partiamo da un dato di fatto che
non è per nulla scontato. Chi è Raffaele Gentile? E’ uno studioso cristiano che
legge il mondo alla luce della Rivelazione. E riempie di un valore “altro” ed “alto”
le sue fatiche intellettuali.
L’obbiettivo di uno studioso
cristiano è quello di giungere ad una comprensione per l’appunto cristiana del
fenomeno che egli sta studiando, dal momento che il cristianesimo è una
“concezione del mondo” che racchiude in sé ogni aspetto della vita[1].
Nei suoi studi, quindi, Raffaele
Gentile legge le realtà terrene per renderle coerenti al Vangelo. Il punto di
partenza di ogni discorso, di ogni articolo, di ogni scritto è Cristo che
diventa la “lente” con cui cercare di guardare il mondo. Non una lente
distorta, deformata, miope. Ma una lente ben graduata, perché ancorata ad una
forte esperienza di fede. Per Gentile il cristianesimo è “l’unico vero polo di
attrazione al quale oggi si volge in ogni continente l’uomo smarrito e
sfiduciato”[2].
Lo studioso cristiano sa bene che
ci sono valori e modelli di comportamento da seguire indipendentemente dall’ordine
sociale ed economico che promana un mondo altamente egoistico ed individualistico.
E’ per questo che negli scritti di Raffaele Gentile troviamo principi morali
fondati sul riconoscimento della dignità della persona umana, dal concepimento
fino alla morte naturale, sul diritto di promuovere il bene comune attraverso
politiche ispirate ai valori della legalità e della giustizia sociale, sul
disprezzo e sulla condanna di chi cerca il mero interesse personale e non bada
a quello dell’intera comunità, sul primato della vita spirituale
dell’individuo.
Le pagine di Raffaele Gentile
trasudano delle Beatitudini. Lo stile delle Beatitudini, ancora oggi troppo scomodo
per credenti di latta, lo accompagna nella ricerca di una verità che, sulla scorta
del Concilio Vaticano II, non va imposta, ma proposta! In Raffaele Gentile,
studioso cristiano, trova attuazione l’espressione di Sant’Agostino: “Fides nisi cogitatur nulla est”. Una
fede non pensata, non ragionata, non è fede.
La fede non può esistere senza la
ragione; e la ragione non può esistere senza la fede.
“La fede e la ragione sono come le
due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità.
E’ Dio ad aver posto nel cuore dell’uomo il desiderio di conoscere la verità e,
in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa giungere
anche alla piena verità su se stesso[3]”,
scriveva Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Fides et Ratio” (1998).
Un impegno quanto mai attuale oggi,
all’alba del terzo millennio di cristianità, in cui è evidente la frattura tra
fede e storia. Nel mondo odierno manca la consapevolezza di una fede incarnata
nella cultura dell’uomo. C’è rottura, spesso, tra quello che predichiamo e
quello che mettiamo in pratica. La testimonianza, autenticamente evangelica,
viene meno perché la fede non si innesta nella prassi di tutti i giorni.
L’antidoto a tale situazione può
essere soltanto la carità. Essere “caritatevoli” significa donare noi stessi
agli altri. O, meglio, rendere gli altri partecipi dei nostri doni, dei nostri
carismi, dei nostri talenti che, guai a lasciarli marcire sotto terra, bisogna
che portino frutto nella società. Siamo noi a costruire una società più
cristiana gettando i “semi buoni” dei nostri talenti. E’ una diakonia, un servizio, a cui siamo chiamati
in quanto “custodi” del Creato e che si sostanzia nella carità. “Se avessi il
dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta
la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi la carità, non sarei nulla
…” (1Cor 2).
Paolo ci ricorda che la scienza
trova la sua ragion d’essere proprio nella carità. Lo studio, accompagnato da
una vera conversione morale ed intellettuale, diventa un servizio di carità, di
amore, al prossimo e alla società[4]: e cioè
aiutare gli altri a scoprire le manifestazioni dell’Eterno nei meandri, anche
più scevri e nascosti, della realtà è carità. La prima forma di carità per uno
studioso cristiano, come ci insegna il Santo Padre Benedetto XVI, si qualifica
come carità intellettuale[5], dalla
quale dipende l’elaborazione di un nuovo umanesimo per il terzo millennio.
2. Uomo di pensiero e di scienza
Ci stiamo avvicinando ai cinquant’anni
dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962 – 11 ottobre 2012). Un
Concilio che, nelle intenzioni di Giovanni XXIII, vuole “adeguare” l’annunzio
di una “dottrina certa ed immutabile” ai segni dei tempi che avanzano. Il Papa
buono, insomma, è un insanabile ottimista, che guarda con fiducia al futuro
della Chiesa e del mondo e si distacca dai tanti “profeti di sventura” capaci
di vedere nei tempi presenti soltanto “rovine e guai”. Raffaele Gentile, all’apertura
del Vaticano II, ha più di quarant’anni. E’ un padre di famiglia, un medico,
uno studioso ormai formato e maturo nella fede. Eppure per molti aspetti, prima
e dopo, Raffaele Gentile si inserisce nel Concilio.
E’ un uomo del Concilio sicuramente
per quanto riguarda il suo essere laico. E’ un laico a pieno titolo, non un “quasi-prete”,
nell’accezione a volte banalizzata di chi vorrebbe rivestire di un’aureola
sacrale l’ordine temporale. E’ un laico, orgogliosamente tale, che “ordina” il
mondo secondo Dio. Risponde all’impostazione del Vaticano II, che vede il
laicato, per la forza sacramentale del battesimo, non più subalterno al clero,
ma compartecipe del sacerdozio universale di Cristo.
Raffaele Gentile è tra quegli
“uomini di pensiero e di scienza” a cui si rivolgono nel messaggio “Agli uomini
di pensiero e di scienza”, i Padri conciliari alla chiusura dell’assise
ecumenica. E’ tra i “cercatori della verità”, tra gli “esploratori dell’uomo,
dell’universo e della storia”; tra i “pellegrini in marcia verso la luce”.
Tutte espressioni che calzano a pennello per la parabola culturale e l’impegno
professionale di Raffaele Gentile. E che cosa chiedono i Padri conciliari a
questi “uomini di pensiero e di scienza”? Di continuare a fare ricerca “senza
disperare mai della verità”.
Raffaele Gentile cerca la verità.
La trova e la fa propria, per “rinnovarla, approfondirla, per donarla agli
altri”. Una continua tensione verso la verità che, oltre ad essere un diletto,
un piacere, è pure un dovere, una responsabilità: “guai a colui -dicono ancora
i Padri conciliari- che chiudono volontariamente gli occhi alla luce”. La fede
e la scienza, per il Concilio, sono “ancelle l’una e l’altra della stessa
verità”.
Il dott. Gentile, ancora, è uomo
del Concilio perché guarda alla certezza assoluta del valore della persona
umana, al di là della sua cultura e della sua religione. Ci troviamo di fronte
-come abbiamo già accennato nel paragrafo precedente - all’aspirazione di un
nuovo umanesimo integrale. Tant’è che Raffaele Gentile, nei suoi scritti, parla
di una “rinascita dell’uomo di oggi[6]”.
Il Concilio insegna che la persona
deve essere considerata e accolta come tale, riconosciuta sempre nei suoi bisogni
materiali e spirituali: il valore della persona umana è assoluto! Il tutto,
giustamente, senza correre il rischio di relativizzare e sacrificare il valore
della verità, e quindi finanche l’appartenenza religiosa nell’incontro con il
“diverso” da noi.
Tant’è che Raffaele
Gentile cresce, continuamente, nella conoscenza della propria identità di
cultura e di fede cristiana e, forte di queste radici, si apre all’altro,
chiunque egli sia.
3. L’ impostazione di metodo
Raffaele Gentile è uomo del
Concilio anche nella sua impostazione di metodo che possiamo condensare in tre azioni:
osservare, giudicare ed agire. Che, poi, sono anche i tre verbi chiave nello
studio e nell’insegnamento del Magistero della Chiesa[7].
- Osservare: è studiare, percepire,
toccare i problemi delle realtà, le loro cause e le loro conseguenze.
Un’analisi che nello svolgersi attiene alle massime esperienziali ed agli
strumenti empirici delle scienze sociali e delle scienze naturali;
- Giudicare: è interpretare la
realtà alla luce della Rivelazione, che determina non soltanto il giudizio
rispetto ai fenomeni della società ma anche le loro implicazioni etiche. In
questa fase il reale viene interpretato dal punto di vista della fede. Nel giudicare
Gentile certamente non è neutrale. E’ estremamente di parte … dalla parte del
Vangelo, ovviamente. E questo perché le scale di valori utilizzate nel giudizio
della realtà sono le stesse del messaggio cristiano;
- Agire: è l’impegno concreto, dopo
l’osservazione ed il giudizio della realtà. E’ l’essenza stessa della conversione
che rende attive determinate scelte. E’ una trasformazione interiore che porta,
necessariamente, alla disponibilità, all’apertura e alla trasparenza. Ed
infatti Raffaele Gentile non è rimasto chiuso in sé stesso con i suoi studi.
Tutt’altro. Ha profuso un forte impegno nel sociale che è scaturito, prima di
tutto, da una grande conversione interiore all’insegnamento di Cristo.
Per Raffaele Gentile la storia
dell’uomo è capitolazione di una storia di Salvezza. Dai Vangeli e dalla
tradizione cattolica, più che millenaria, è possibile quindi trovare un modello
alternativo di società che protegga la dignità della persona umana e promuova
il bene comune.
Osservare, giudicare e agire sono i
tre verbi che devono accompagnare lo studioso cristiano anche nel suo approccio
con la Sacra Scrittura che plasma la realtà. Raffaele Gentile è figlio di quei
tempi in cui era difficile e frustrante trovare un Vecchio ed Nuovo Testamento
in lingua italiana e completo. Con il passare del tempo il sogno, del tutto
conciliare, di avere una Bibbia per ogni casa si è quasi realizzato.
La sfida che si accolla Gentile è
quella di far in modo che le Scritture divengano davvero lievito per ogni uomo:
ciò significa raccogliere le verità immutabili del passato, fugare i dubbi e le
fatiche del presente ed illuminare di speranza il futuro[8].
4. L’idea di università in Raffaele Gentile
Nell’autunno del 1942 Raffaele
Gentile, ancora giovane studente universitario a Palermo, aderisce al nascente
circolo Fuci di Catanzaro. Che idea di università ha il nostro studioso
cristiano? Utili indicazioni li troviamo nel suo scritto “Il medico:
professione al servizio della personalità umana e cristiana[9]”.
Gentile è cosciente che il tempo universitario è un “importante e decisivo periodo”
che va affrontato “con cuore forte, con animo vigile e saldo nella Fede, con
intelligenza pronta, con volontà nello studio e nella ricerca”.
il beato John Henry Newman |
Molti i punti di contatto tra
Raffaele Gentile ed il beato John Henry Newman (1801-1890), una figura
eclettica di intellettuale, teologo, filosofo e pedagogista, per certi aspetti
precursore del Vaticano II. Per entrambi lo scopo dell’istituzione
universitaria è quello di “educare”. L’università diventa il luogo in cui si
insegna il “sapere universale” contro chi, invece, l’ha ridotta ad una
accozzaglia di discipline, le quali non riescono a cogliere l’unità del sapere,
provocando “incoerenti sistemazioni” o “radicali autonomie” nella mente di
docenti e studenti. Le singole facoltà -adesso soppiantante dai “dipartimenti”
con l’ultima riforma universitaria targata Gelmini- appaiono al dottor Gentile compartimenti
stagno, quasi monadi isolate, che rispondono ad un sapere sempre più
settoriale. Egli, infatti, sostiene nel citato scritto che “l’istituzione
universitaria vive in concreto in singole scuole specializzate, manca un
terreno comune istituzionalizzato per la elaborazione e la trasmissione di una
unità culturale[10]”. Un po’
come afferma Newman ne “L’idea di università”: “Non c’è vero allargamento dello
spirito -dice- se non quando vi è la possibilità di considerare una
molteplicità di oggetti da un solo punto di vista e come un tutto; di accordare
a ciascuno il suo vero posto in un sistema universale, di comprendere il valore
rispettivo di ciascuno e di stabilire i suoi rapporti di differenza nei
confronti degli altri”[11].
Insomma nell’idea di Gentile il
sapere è come un tutto. In più ci ricorda che nella vita universitaria non
basta la semplice cultura, ma “è necessario che il cuore vi abbia la sua parte
notevole, senza di che tutto è vano e diventa gioco di interesse[12]”.
5. La carità intellettuale nella comunicazione
Raffaele Gentile manifesta la sua
carità intellettuale pure attraverso l’attività pubblicistica. “Quello che
ascoltate all’orecchio, predicatelo sui tetti” (Mt 10,27), sono le parole che
Gesù rivolge ai suoi discepoli. E che riprende Giovanni Paolo II nel messaggio
per la giornata delle Comunicazioni sociali del 2001. Gentile che cerca e trova
la verità, ora la proclama “sui tetti” che, nel nostro caso, sono i giornali.
Ancora militante nella Fuci, nel 1943, a soli 21 anni, fonda “L’Idea
Cristiana”, il primo periodico cattolico dell’Italia continentale liberata
ottenendone l’autorizzazione dal Governo Militare Alleato. “L’Idea Cristiana”,
che nel 1944 diventa l’organo ufficiale della Democrazia Cristiana, assume un
ruolo fondamentale nel momento in cui la diocesi, a causa della guerra, non può
comunicare con la Santa Sede.
Inoltre nel 1949 il dott. Gentile
fonda, con l’onorevole Vito G. Galati, “Il Popolo d’Oggi”, periodico della Dc
per la provincia di Catanzaro. Importante, pure, sotto questo aspetto
l’instancabile attività di conferenziere, le tante opere edite e inedite di carattere
spirituale, filosofico e scientifico, ed i numerosi articoli che pubblicherà,
dal 1984, sul periodico della diocesi “Comunità nuova”, fondato
dall’arcivescovo Antonio Cantisani.
I giornali, per Raffaele Gentile,
sono il luogo in cui esprime la propria tensione all’annuncio e alla testimonianza
di fede. Sono -azzardiamo a dirlo- “luogo teologico”, perché si parla di Dio.
E’ contro quindi Raffaele Gentile rispetto a quella stampa e pubblicità, che
“con disinvoltura si prestano facilmente alla disinformazione, alla menzogna,
al risalto e alla gonfiatura di quanto può recare ingiustamente danno o
addirittura scandalo col gusto di chi, come sul dirsi, ama inzupparsi il pane,
ricorrendo anche ad un frasario volgare e scurrile[13]”.
Il Gentile, nel suo essere
comunicatore, persegue la verità ad ogni costo, con rispetto, coraggio e
spirito di servizio. Sa bene che la comunicazione è, prima di tutto, un dono,
per chi la riceve. E’ un dovere per lui, studioso cristiano, ispirato da una
forte correttezza professionale e di fede e da una grande spinta verso la
“missionarietà” (anche in questo Raffaele Gentile appare sempre più uomo del
Concilio).
6. L’umiltà del pensiero
a sinistra di S.S. Papa Pio XII |
Raffaele Gentile sta sempre “con i
piedi per terra”. Il sapiente, spesso e volentieri, corre il pericolo di cadere
nel peccato della vanagloria e della superbia, di credere di essere onnipotente
con il suo sapere. “So nihil scire”, so di non sapere, ci
insegna Socrate. E così uno dei tratti caratteristici della penna di Raffaele
Gentile è l’umiltà. Il pensiero è autentico “quando è fedele al fatto che noi
uomini siamo impastati di terra e siamo finiti[14]”.
L’essere umile che caratterizza
l’umanità, l’humanitas, di Raffaele Gentile, ne forma pure il suo pensiero. Gentile
nei suoi studi ha sempre davanti agli occhi la precarietà della condizione
umana. Non si illude quindi di poter trovare con la sola forza della ragione
l’antidoto alla finitudine e alla mortalità. Il richiamo costante di Gentile
alla ricerca della verità indica proprio che egli sa bene i limiti della sua
scienza che non può travalicare fin oltre le maestose vette dell’infinito. E
quanto spesso noi oggi invece vediamo intellettuali, scienziati, medici che
sono convinti cla loro ultima scoperta sia verità e salvezza per tutti.
Il Servo di Dio Antonio Lombardi |
Raffaele Gentile è fedele fino in
fondo a quello che realmente è l’uomo: “un nulla circondato da Dio[15]”. L’umiltà
porta anche a un’ulteriore nota caratteristica della carità intellettuale: la
comunione. Raffaele Gentile vive il suo apostolato non da solo ma con altri. La
santità, anche per lui, è una “conquista” in comune.
E’ sorprendente pensare come nella
prima metà del novecento a Catanzaro si siano ritrovati tantissimi uomini di
Dio -da Antonio Lombardi a Renato Leonetti, da don Francesco Caporale a Mons.
Domenico Vero, da don Paolo Aiello a Mons. Luigi Costanzo, dall’onorevole Vito
G. Galati al prof. Carlo Amodei, … - che hanno reso la nostra città un
laboratorio fertile di idee, evangelicamente ispirate. Nessuno di questi
personaggi ha agito in solitudine. E’ stato quasi un “lavoro di squadra”. Tutti
hanno operato in un’ottica comunitaria. Ed i frutti di quanto seminato sono
ancora oggi evidenti.
7. Conclusione: escatologia e primato della vita spirituale
Il Nostro Padre Arcivescovo, Mons.
Vincenzo Bertolone quest’anno, con la Lettera pastorale, la prima indirizzata
alla comunità di Catanzaro-Squillace, dal titolo evocativo “Ogni attimo è
carico di eterno”, ci invita a riflettere sulle realtà ultime -morte, giudizio,
inferno e paradiso- dei Novissimi.
Possiamo dire che lo studio,
cristianamente inteso, ha una valenza escatologica?
Certo. Dagli scritti di Raffaele
Gentile, studioso cristiano, si evince come egli agisca in una logica da Regno
dei Cieli. In effetti, con le sue fatiche intellettuali, continua nel tempo
presente la costruzione di un regno di bellezza, di amore e di pace a cui
Cristo ci ha chiamati a vivere. La sua è una prospettiva, e non potrebbe essere
altrimenti, di eternità, nel “già” del tempo presente proiettato verso il “non
ancora” del tempo che verrà.
Tra gli specifici ambiti di azione
secolare dei laici, richiamati dall’Arcivescovo nella lettera pastorale, c’è
anche quello di “evangelizzare la cultura in senso lato dell’uomo[16]”. Sempre
Mons. Bertolone afferma che l’escatologia deve “aiutare il credente a
illuminare le scienze, le tecniche, il progresso economico, la letteratura, e
l’arte con la luce della resurrezione di Cristo, per cogliervi e valorizzare i
fermenti che contribuiscono all’autentica promozione dell’uomo, di tutti gli
uomini, e alla realizzazione di nuovi cieli e nuova terra[17]”.
E Raffaele Gentile, nella sua esistenza, pure attraverso l’attività pubblicistica
ed intellettuale, ha reso ragione della speranza di Cristo all’interno del suo
ambiente di vita. In questo si è fatto “aiutare” dall’esempio di maestri forti
e provati di santità, come il medico Giuseppe Moscati (1880-1927), canonizzato
da Giovanni Paolo II nel 1987.
Il primato della vita spirituale in
tutto questo gioca un ruolo fondamentale. Si parla di una “spiritualità dello
studio”. Gentile non è stato solo un uomo di lettere e di scienza. E’ stato
prima di tutto un uomo di ascolto orante e di preghiera. La vita interiore in
Gentile ha il primato rispetto alle attività esterne. E non è cosa di poco
conto. Mons. Bertolone ci mette in guardia quando poniamo l’accento “solo su
ciò che ciascuno è chiamato a fare, anziché su quello che è chiamato a essere”,
perché ci può essere il rischio che “la fede diventa quasi un tratto etico,
privo di spiritualità[18]”.
Possiamo affermare che Raffaele
Gentile non corre questo pericolo, in quanto per lui la spiritualità dello
studio, nella pratica, si traduce con il coniugare vita intellettuale e vita
spirituale. Ciò significa, in altre parole, entrare nell’ordine delle idee che
l’uomo non è solo carne, ma è anche spirito chiamato all’immortalità. E che
cos’è questa se non una prospettiva escatologica? Negli scritti di Raffaele
Gentile c’è una tale maturazione di fede che non si distingue più se egli sia
studioso cristiano perché prega o preghi perché studioso cristiano[19].
Preghiera e studio; raccoglimento e
azione; vita spirituale e vita materiale in Raffaele Gentile diventano quasi un
tutt’uno. La carità intellettuale, in lui la possiamo definire pura e semplice
“Carità”, senza ulteriori aggettivazioni. E’ l’Amore verso Dio e verso il
prossimo, il comandamento più grande, che lo spinge a “sporcarsi le mani” nella
santità quotidiana.
Raffaele Gentile è -scusate se è poco-
un uomo, un grande uomo, in costante ricerca della Verità. E tanto basta!
Luigi Mariano Guzzo
Presidente della Federazione Universitaria
Cattolica Italiana – Catanzaro
[1] 1 C.
CLARK, Cristianità e capitalismo all’inizio del XXI secolo, in A. FANFANI,
Cattolicesimo
e protestantesimo nella
formazione storica del capitalismo, a cura di P. ROGGI, Marsilio,
Venezia, 2005, p. 257.
[2] Una Vita
per Amore, I, pag. 543
[3] GIOVANNI
PAOLO II, Fides et ratio, Lettera
Enciclica, 14 settembre 1998, proemio.
[4] M.
PAMPALONI, Scire ut: motivazioni del
conoscere, in Ricerca n. 10, Ottobre 2007, pp. 23-27.
[5] BENEDETTO
XVI, Omelia per la celebrazione dei vespri con la partecipazione degli
universitari romani, Basilica Vaticana, 17 dicembre 2009, in www.vatican.va
[6] Una Vita
per Amore, I, 23
[7] Cfr. anche
il documento CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA,
Orientamenti per lo studio e
l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione
sacerdotale, 30 dicembre 1988, dove si parla di “principi permanenti”, di
“criteri di giudizio” e di “direttive di azione”.
[8] C. M.
MARTINI – D. MODENA, Una Parola per te. Pagine bibliche narrate ai più piccoli,
Editrice San Raffaele, Milano,
2010, 11.
[9] Una Vita
per Amore, I, 67
[10] Idem, 66
[11] P. LAZZARIN, John Henzy Newman. Il
primato della coscienza, Edizioni Massaggero di Padova, Padova, 2010, p. 75.
[12] Una
Vita per Amore, I, 67
[13] R.
GENTILE, Pensiero e azione di un cristiano nel mondo. Nel centenario della
nascita di Antonio
Lombardi (1898-1950),
“Quaderni” del Centro per la Cultura e la Pastorale Universitaria
dell’Arcidiocesi di
Catanzaro-Squillace, Edizioni Vivarium, Catanzaro, 1998, p. 10.
[14] R.
REPOLE, Il gusto del pensare. Lettera ad un giovane studente, EDB, Bologna,
2009, p. 36.
[15] H. DE
LUBAC, Pico della Mirandola. L’alba incompiuta del rinascimento, Milano, 1994,
p. 139.
[16] V.
BERTOLONE, Ogni attimo è carico di eterno, Arcidiocesi di Catanzaro -
Squillace, Lettera pastorale 2011-2012, p.89.
[17] V.
BERTOLONE, op. cit., p. 79.
[18] V.
BERTOLONE, op. cit., p. 90.
[19] Una
simile “confidenza” la troviamo in I. GARGANO, Pregare e studiare: affinità
elettive?, in Ricerca n.1/2, Gennaio-Febbraio 2011, pp. 36-38.
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