1 luglio 2016. - In tale data la Congregazione delle Cause dei Santi ha emesso il Decreto di Validità della Causa di beatificazione del Servo di Dio Raffaele Gentile. Ora si passa alla costruzione della Positio super vita, virtutibus et fama sanctitatis

mercoledì 10 luglio 2013

9. PERCORSI DI VITA di RAFFAELE GENTILE

                                                                                          
Il contributo che mi avvio a svolgere non espone la biografia di Raffaele Gentile. Sono state di già composte le note illustrative della sua vita, che è stata del tutto lineare: famiglia, lavoro, Chiesa, società, opere, una semplicità di vita aperta alla società che documenta il generoso impegno nel contesto sociale e religioso, accostato al mondo dei poveri. Dentro la Chiesa, vivendo in mezzo alla gente. Testimonianze e documenti che lascia rispondono ad una condotta che offre palpiti di vita aventi valore di vivezza. Il suo richiamo era alle cose vere ancorate ai valori più sacri: fede, famiglia, società, Dio sui quali sentiva il bisogno di dare senso alla vita.

Aveva sofferto l’esperienza del periodo bellico e ben presto tende verso un impegno attivo per concorrere a costruire una società più giusta, nella pace finalmente conseguita.

È nell’Azione Cattolica. Sente di propendere verso un impegno politico elettivo e nel 1946 è eletto consigliere comunale restando per dieci anni nel consesso.

Si avvia così, alimentata dalla fede radicata nell’anima, la sua vita aperta totalmente alla società: il ripercorrerla non presenta dubbiosità od ombre; seguendola, consente di vederlo da vicino dentro il tessuto della storia stessa della città e della diocesi, dove vive sin dall’infanzia.

Non è difficile cogliere il suo essere cristiano animato di profonda spiritualità che si appartiene a cultura religiosa di forza direi mistica, tanto vivo è il senso di appartenenza che ne ha sorretto l’intera sua esistenza. Ha modellato un percorso di vita segnato di accentuato spirito comunitario espresso mirabilmente, tanto che il suo è “un vissuto religioso”, con azione aperta all’incontro umanamente sociale per le opere che ha assecondato, promosso e contribuito a far nascere. E a sostenerle con attiva febbrile presenza: nella lezione di vita è sempre presente il Vangelo quale sprone all’operare.

Gentile sente pressante il bisogno di darsi agli altri, ai poveri, ai sofferenti e non predica né guarda ma scende nell’agone dentro la società impegnando il suo tempo a lenire i bisogni della povera gente dando testimonianza di fede attiva che, nell’interiorità e nell’azione, gli fa compiere un laborioso impegno teso a costruire a pro dei poveri.

La sua vita non è possibile riprenderla nell’interezza. Ma è certo che è stata spesa per il prossimo. L’anima arde della fiamma del dare in generosità: si consacra presenza viva di animazione e di servizio nell’avvertito dovere di corrispondere alle attese dei poveri, nello sforzo di colmare i loro bisogni.  Può dirsi che il suo è stato un andare verso opere di fraternità.

Amò la Chiesa – popolo di Dio e ne calcò le orme con amore filiale. Ha risposto da cristiano, credendo nella forza del Vangelo, alla ricerca del dialogo aperto agli altri andando incontro alle esortazioni del Concilio che nel XX secolo è l’istanza più autorevole della Chiesa Cattolica: il Concilio che interroga e si interroga sull’uomo concreto e vero del nostro tempo. Da qui la volontà della grande apertura della Chiesa verso la Società e il dialogo con il mondo, sì che la Gaudium et Spes espone la dottrina cattolica sui grandi temi: la fame nel mondo, l’economia, la guerra, l’ateismo, il dialogo. È la Chiesa che avvia e conduce il contatto fecondo con il mondo contemporaneo. Giovanni XXIII volle il Concilio pastorale sentendo da pastore il dovere di porgere il Vangelo alla società del nostro tempo in rapida trasformazione, nel richiamo della Parola e della Tradizione. All’apertura disse che il Concilio doveva “custodire ed insegnare in modo più efficace il sacro deposito della dottrina cristiana perché fosse trasmesso puro ed integro senza attenuazioni o travisamenti per rispondere sempre alle esigenze del tempo”.

Gentile si ritrova lungo questa via che più conosce e percorre da testimone credibile, come lievito e fermento nel suo mondo: così la Chiesa chiede che sia il cristiano. Accetta e corrobora nella genuinità di fede la dottrina sociale che nello scorrere della vita del popolo credente rappresenta il rapporto che la Chiesa mantiene con il tempo e la storia; rapporto che nasce dai fondamenti evangelici posti a base del Tempio di Dio per la città dell’uomo. Con l’azione e la preghiera è testimone di speranza, seminatore di amicizia: il suo diviene impegno forte del credente laico nel confronto col mondo, in ubbidienza alla Chiesa istituzione.

La sua vita insegna che al cristiano è richiesto di operare per il bene assumendo la misericordia come abito evangelico.

Rimane uomo trasparente nella sua umiltà, portatore di anelito nella purezza del cuore: cristiano senza rigorismi né saccenteria, ci lascia l’esperienza di una vita dalla accentuata vocazione all’incontro con il povero che lo affligge per le sofferenze che coglie e tanto in Lui diventa strumento di stimolo per una più consapevole fedeltà a darsi alle opere di bene.

È ammirevole che quest’uomo resta nel ricordo memore di chi lo ha conosciuto nella dimensione pubblica, privata e familiare: permane presenza straordinaria con un fascino di intimismo che non si cancella né si affievolisce.

L’amabilità del tratto, la serenità costante, la delicata presenza non ingombrante, quel non risentirsi mai per qualunque piccolo attrito inevitabile in ogni convivenza umana, tutto diventa abito di vita virtuosa e ce lo fa considerare cristiano esemplare.

Gentile è testimone di speranza: un laico che ci lascia la pienezza di una vita cristiana.

Negli scritti rivela la serietà con cui si documenta e l’impegno è volto all’azione.

La sua testimonianza s’indirizza su verità essenzialmente utili; l’agire lo porta ad immergersi dentro il mondo dei poveri. Da medico si dona presto a un apostolato intenso tra il popolo più bisognoso, a fianco di un sacerdote-apostolo, don Giovanni Apa.

Con tanta umanità cura e conforta in un rapporto di intimità con la società cittadina, rapporto che costantemente intreccia.

In campo morale si forma sempre più alla dottrina della Chiesa, ne sposa la socialità sovvenendo alle necessità di vita della gente bisognosa di assistenza: la identità del buon cristiano va pure attinta in questo suo senso di penetrazione nell’anima popolare alla quale si incatena e la serve, perché la ama. È ricco di quell’amore divino ricevuto e rimane accostato

al mondo dei bisognosi. Tale è l’impronta della sua morale. Così nasce il messaggio di spiritualità sorretto dalla grande ansia di fare: questo respiro hanno taluni suoi scritti in cui rivela la vita di fede aperta alla generosità titolando una pagina: “Massimo di tutti i comandamenti è l’amore”. Nello scritto, confluenti ed armonizzandosi, emergono due grandi vocazioni: la ricerca del bene ed il sostegno dell’uomo, ambedue tesi alla Verità. Amare Dio vuol dire conformarsi alla Sua volontà secondo il detto che Egli, credente, riprende “sia fatta la volontà di Dio”.

Vive insieme con la gente e per essa: sente di appartenere alla Comunità. È quello che Benedetto XVI ci dice con chiarezza “la nostra fede non possiede mai la sola dimensione individuale, ma è sempre fede comunitaria”.

Non esiste la fede per tenerla dentro, la si fa operare perché l’identità cristiana non si custodisce dentro un recinto, va ben oltre lo stesso recinto della Chiesa “verso l’Infinito e oltre il Tempo”; sant’Agostino soleva ripetere “sono vescovo per voi ma, anzitutto, sono cristiano con voi”.

Il dottore Gentile con la sua testimonianza di servizio ai poveri dice “sono medico per voi, vengo e vi soccorro”.

Allora chi è e che cosa deve fare il laico cristiano nella società? Ce lo dice il Concilio: “Cristiani sono tutti i fedeli, escludendo i membri dell’ordine sacro, resi partecipi col battesimo della funzione sacerdotale profetica e reale di Cristo e compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano”. La vocazione è di “cercare il regno trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”.

Scrive Gentile con riferimento alla “In Charitate Christi” “occorre dare una soluzione umana … soprattutto nell’attuare quel carattere di equità che è legge morale ... assicurando la unitarietà del servizio assistenziale senza preferenze, ma con giustizia”.

Resta la fede a fondamento della sua Idea e, prendendo atto che la Fondazione è “un nuovo mondo in cammino ricco di risultati conseguiti e del suo sviluppo sempre crescente, dopo essere partito dal nulla in un momento storico particolarmente tristissimo e di grande miseria, materiale e morale”. Si dichiara “convinto dell’aiuto e della benedizione della Provvidenza, fiducioso di più nell’ulteriore consenso dell’Alto, senza alcun finanziamento avanza l’ardita idea di costruire un vero e proprio villaggio”. Il progetto si realizzerà con “Villa Betania”, conseguendo l’auspicato organico sviluppo dell’Opera.

È la speranza che si invera e diventa realtà! Il laico si protende verso una duplice missione, nella Chiesa e nel mondo, nella responsabilità umana di rendere testimonianza a Cristo con le opere. Gentile manifesta concretamente testimonianza mediante le opere. Al di sopra di ogni valore di vita vi è Dio, insieme con il Prossimo: è il prevalere dell’essere sull’avere quel che caratterizza il laico-cristiano il quale vive dentro il mondo partecipe del cammino comune che le creature compiono.

Nella Redemptor Hominis Giovanni Paolo II pone un’affermazione che eleva: “l’uomo è la via della Chiesa”, assegnando attenzione particolare alla persona che è presenza cristiana nel mondo attuale col suo essere “popolare” nella concretezza, con sensibilità ed amore. I cristiani siamo dialogo nel mondo perché siamo “in mezzo” al mondo: Gesù è vissuto in mezzo agli altri predicando a tutti e San Paolo, il primo missionario, andando da tutti è ricordato come “Apostolo delle genti”.

Gentile forma la sua personalità in un tempo nel quale la vita dell’Italia è funestata dalla guerra. All’esplodere del conflitto si ritrova alle porte dell’Università: inizia a Bologna, poi –infuriante la bellicosità – prosegue gli studi a Bari, quindi si trasferisce a Palermo dove consegue, col massimo dei voti, la laurea in medicina e chirurgia.

Vi è carenza di medici. Rientrando a Catanzaro trova che il primario chirurgo ospedaliero, non essendoci altri medici, gli offre una collocazione di assistente. Vi rimane per qualche anno. Già dal ’40 è nell’Azione Cattolica; nel ’42 aderisce, a Catanzaro, alla F.U.C.I..

L’essere fucino e giovane di Azione Cattolica naturalmente vuol dire anzitutto rigetto dell’autoritarismo e accettazione dei valori democratici. Si apre all’impegno nella società.

In città, nel ’43, è cofondatore di L’Idea Cristiana, periodico diretto da Antonio Lombardi, giornale che per alcuni anni è la voce viva del mondo cattolico; poi diventerà organo provinciale di stampa della Democrazia Cristiana. Lui ne è redattore capo, quindi vice direttore. Il periodico viene alla luce il 25 dicembre 1943. Il nucleo portante del giornale è costituito, insieme col direttore, da due sacerdoti don Pietro Fragola e don Domenico Vero, rettore del seminario teologico calabro il primo, l’altro promotore ed anima santa di una fondazione cattolica che porta il suo nome. Con loro due giovani, già vicini a Lombardi, Renato Leonetti e Raffaele Gentile. Il primo numero porta il fondo di Lombardi, che scrive: “niente può togliere l’incanto del Natale. Le eterne nostre speranze, che vedemmo sommerse e quasi spente, si ravvivano nello splendore del sublime evento. Apriamo i nostri cuori all’Amore. Fidiamo ancora in quel Dio che sa vincere ogni avversa potenza e sa trarre il bene dal male. Ma la fede e la speranza non possono essere in quest’ora scompagnate dall’azione”.

Gentile compone un pezzo che s’intitola “Sapienza e Religione”, dal tono cristianamente etico-filosofico. Riprende quel che Lombardi aveva fatto penetrare nella coscienza dei suoi giovani. Scrive: “La sapienza ci conduce a Dio, la conoscenza di Dio ci porta alla Religione. Sapienza e Religione costituiscono un’unica potenza, una, inscindibile, se pensiamo che in Dio, che le genera, trovano l’anello di congiunzione. Partono da Dio per ritornare a Dio. L’una risiede nell’intimo delle nostre facoltà spirituali, l’altra nei nostri atti. Ugualmente, se per morale intendiamo la scienza del come dover vivere cioè come l’uomo deve comportarsi nelle proprie azioni, non possiamo stimare veramente morali quelle dottrine o quei sistemi filosofici e sociali che non hanno come fondamento Dio”.

Coevamente, asseconda Vito Giuseppe Galati quando, a distanza di vent’anni, riprende il suo giornale di battaglie politiche, soppresso nel 1924, “Il Popolo d’oggi”.

Gentile, che si era formato culturalmente alla lezione di Antonio Lombardi, filosofo cristiano e maestro sommo di tanti giovani catanzaresi, con entusiasmo collabora alla iniziativa del Galati ed arricchisce la sua formazione. Assume la redazione del giornale di Galati. Questi è scrittore, filosofo, storico, politico ma anzitutto cattolico: il suo volume “Religione e Politica”, edito da Gobbetti nel 1925 – recensito da De Gasperi su l’Adige di Trento - è il testo che gli esuli cattolici, all’avvento del fascismo, portano con sé uscendo dai confini nazionali. Era Galati animato di quei sentimenti di purezza morale e di fede di cui Gentile si nutriva. Galati, difensore della fede, scriveva di “Pio XII e la Chiesa della povera gente”.

Gentile si ritrova in sentita simbiosi con tali maestri e la sua formazione si forgia restando a loro ancorato. Quella di Gentile è una storia umana che abbraccia almeno tre generazioni.

Un lungo tratto di strada ed i particolari della azione vitale impressa sono profondamente fissati nella memoria collettiva di questa Chiesa facendo restare attuale la sua immagine nei valori espressi che hanno forza di eterno: credente trasparente, umile portatore di incessante anelito nella purezza di cuore. La pratica dei doveri religiosi e le opere di carità nascono dal bisogno di dare valore alla vita operando per il bene quale avvicinamento a Dio-Verità, rispondendo all’insegnamento di don Giuseppe De Luca: “Dio, vive e ci parla nelle più piccole realtà e verità”.

Ho letto di un cardinale francese dei tempi andati: nelle sue memorie ricorda che la nobiltà di vita si trasmette per contatti per cui del valore di un uomo e del suo operare vanno anzitutto considerate le sue amicizie ed i suoi rapporti con i maestri: la vita di Gentile è stata spesa da buon cristiano pure per gli incontri avuti con persone che in Lui ne modellarono sentimenti umani, valori culturali, senso del bene; maestri ai quali si accostò per affinità elettive sono principalmente Antonio Lombardi, mons. Giovanni Apa, Vito G. Galati.

Di Lombardi fu discepolo attento insieme con tanti altri giovani che lo frequentavano attratti dalle sue riflessioni sulla società, sulla cultura, sulla religione. Parlava loro della vita, del rapporto con la trascendenza, del senso di carità alla luce di Cristo e si esprimeva attingendo alla quotidiana navigazione della vita e del pensare relazionandosi al Vangelo, riflettendo sul mistero-uomo, forte della fede in Dio-Misericordia. Lombardi innesta con la fede la presenza splendente di Gesù nella società e la sua opera è un aprirsi alla speranza per quel piccolo mondo giovanile che lo segue: perché “la Verità porta alla fratellanza tra gli uomini”, soleva ripetere. È stato Gentile con la sua passione di discepolo, a rendere possibile che questa Chiesa particolare si interessasse al pensiero forte di Antonio Lombardi che, insieme alla testimonianza di vita. di pensiero speculativo e di fede nell’insegnamento elargito, ha offerto se stesso, credente illuminato, animato di Grazia divina.

È Gentile che ha spinto a dare voce, accolta dal nostro Pastore del tempo, togliendolo dall’isolamento del ricordo, nell’ambiente sordo della città, per reimmetterlo nel circuito di vitalità con le essenzialità della sua cultura e dell’ardente fede che ne aveva sostanziato la vita così presentandolo quale segno inconfondibile della più autentica civiltà dell’uomo, la civiltà dell’Amore. Nel contempo Gentile opera senza sosta per sostenere Mons. Giovanni Apa e gli rimane sempre più vicino nei suoi viaggi quotidiani che compie tra gli anziani malati assistendoli con amore, tutti provenienti dai sobborghi della città, quando nasce la istituzione connotata da comunione di fede che accoglie e da soccorso.

Mons. Apa è promotore, coordinatore e guida dell’Istituto In Charitate Christi; Gentile gli si accosta, subito e per oltre 30 anni, nel condurre il cammino e la crescita dell’Opera Pia. Nel trentesimo della fondazione ne diventa anche lo “storico”. Scrive: “nel susseguirsi e nella molteplicità delle realizzazioni assistenziali e sociali, nel rallegrarsene col Signore, non può non vedersi e toccare con mano l’intervento meraviglioso della Provvidenza divina. La dimensione oggi raggiunta, inizialmente imprevista, sarebbe stata impossibile alle sole forze umane”.

Aveva ancor prima annotato che “nello spirito degli impegni assunti occorre dare una soluzione umana” poiché “l’Opera, in coscienza non può guardare alla sue assistite che richiedono una sistemazione diversa, pur non mancando in alcunché del necessario” ma “hanno bisogno di un certo sfogo, indispensabile ed agognato da chi è costretto a passare tutta la vita prigioniera di mali ineliminabili”. Gli scritti di Gentile raccontano con stile nudo testimoniale il percorso, il vissuto e le aspirazioni di avanzamento dell’Opera Pia e fanno commuovere per quell’ansia di dare di più ai bisognosi: sono puntuali, veritieri, onesti e si avverte il germinare della fede in crescendo per dare maggiore sollievo e conforto, impetrando e ringraziando la Provvidenza.

Poi, esprime orgoglio, quando “nel tempo, le strutture sanitarie previste, già funzionanti a Villa Betania, diventano in tutta Italia obbligatorie, per legge dello Stato, per le istituzioni che attendono a tale settore assistenziale.

Aggiunge: “Allorché si ottiene gratuitamente un ambulatorio di medicina generale, esso viene aperto ai poveri di tutto il rione, il più in degrado della città. Questo primo passo segna l’avvio dell’azione sociale che l’Opera non mancherà di intraprendere per qualificarsi ed affinarsi sempre meglio nei suoi compiti vocazionali”.

Gentile, che dell’Opera è il direttore sanitario, si sente che ne è anche il custode per lo spirito di religiosità che traspare in quanto compie. La sua è adesione piena “alla dimensione umana data da Cristo nell’identificarsi col malato, col debole, col sofferente, col bisognoso, col diseredato e marginato in genere”… Dell’opera ne esalta la religiosità “sono religiosi

i promotori, si costituiscono in sodalizio religioso (con pronuncia dei

voti perpetui comuni a tutte le fondazioni religiose femminili) le laiche che aderiscono a questo volontario servizio”.

Poi, “il sodalizio verrà in seguito riconosciuto dalla Chiesa diocesana, dopo un periodo di attesa e di prova rigido come è costume della Chiesa.

Il documento ufficiale di riconoscimento reca la data dell’11 febbraio 1958, nel primo centenario della prima apparizione di Lourdes, quasi a ricordare con quella fatidica ricorrenza l’accostamento del malato allo spirito ed al senso che ha quella terra benedetta dei Pirenei”.

Tutto trasuda nelle sue parole di religiosa spiritualità, che è fede vera.

Raffaele Gentile è in ubbidienza alla Chiesa-istituzione seguendo, fedele, i Pastori che in questa Chiesa si sono succeduti. In un ricordo di Mons. Armando Fares, il vescovo accanto al quale è stato più a lungo per tanti lustri, esalta ruolo ed immagine del suo Vescovo: il Pastore dallo spirito giovanile, dall’entusiasmo indomabile, carico di serietà e castigatezza, riserbo e misura, spirito francescano e povertà, vicino agli ammalati e bisognosi. Esalta e delinea la figura del Capo della Chiesa locale, paterno e buono.

La vita di Raffaele Gentile insegna che al cristiano è richiesto di assumere la misericordia come abito evangelico: la sua fede si era plasmata dentro l’Azione Cattolica al tempo di Carlo Carretto caricandosi di vivezza attiva portatrice di testimonianza “paolina”, missionaria; e quello spirito in Lui è penetrato profondamente.

Vi è concordanza positiva in chi l’ha conosciuto. Egli ha agito in pienezza di fede e non si fa fatica a ritrovare sintonia tra la sua voce e quella della Chiesa. La fede è posta al centro dell’operare ed in Lui invita al bene che è eco della sua vita interiore.

Con incontri come l’odierno ci si propone di offrire approfondimenti e riflessioni per riscoprire e dare luce alle virtù umane e spirituali di un nostro fratello in Cristo, da noi conosciuto e avuto vicino per anni. L’identità cristiana era radicata nella sua coscienza di credente laico ed il suo volto si apriva all’incontro umano.

È stato un “giusto” che ha vissuto la fede nella quotidianità ponendosi silenziosamente a servire l’uomo in solidale convivenza nella società.

Avv. Rosario Chiriano

Presidente

Sezione Unione Giuristi Cattolici Italiani-Catanzaro

Nessun commento:

Posta un commento